Il mio cibo preferito (o come ho perso il mio lavoro)

Molti anni fa, facevo l’insegnante d’inglese in una scuola privata a Verona, in Italia. Il lavoro mi piaceva molto. Mi piacevano gli studenti bambini che avevo nelle mie lezioni ogni giorno, nel doposcuola. E con il tempo, avevo anche fatto amicizia con alcuni dei loro genitori. Alcune volte facevamo l’aperitivo prima di cena. Aiutava molto a migliorare il mio italiano.

Quello che mi piaceva fare di più era portare in classe gli oggetti diversi che insegnavo, soprattutto quando imparavamo la frutta. Portavo in classe tutti i tipi di frutta – le mele, le pere, le fragole, le banane e, quando potevo perché non era sempre possibile a quei tempi, i mango, le papaye e altra frutta tropicale. Ma la mia preferita, devo dire, era l’ananas. Da piccolo mi faceva impazzire l’ananas – prima la sua forma, come una specie di palla di rugby a forma di bomba, con le sue foglie come pinne. Spesso giocavo con mio fratello a lanciare gli ananas fra noi nel nostro giardino prima di mangiarle.

Ma evidentemente quello che più mi piaceva era il gusto della polpa gialla che c’era dentro, un gusto così squisito – adesso direi quasi orgasmico, sebbene da piccolo non sapessi cosa fosse un orgasmo, solamente una sensazione intensa e molto piacevole alla bocca quando faceva il primo morso sulla sua carne. 

Mangiavo ananas a colazione – niente cereali, biscotti e latte come la maggior parte dei miei amici. Sempre mangiavo due fette d’ananas per finire il pranzo, una fetta a mezza sera, e prima di andare a dormire una o due fette di più. Alcuni giorni divoravo quasi un ananas intero. Credo che in un’altra vita devo essere stato una scimmia, oppure avevo i geni mescolati con il regno degli animali. I miei tuttavia sembravano normali però – d’aspetto esteriore per lo meno.

Durante la mia adolescenza i miei – soprattutto mio padre – mi insegnavano a cucinare. Lui, prima di sposarsi aveva vissuto in molti paesi esotici e preparava piatti con ingredienti poco usuali. Un giorno gli ho chiesto di fare un piatto speciale a base d’ananas. Ha fatto un curry indonesiano, molto dolce. D’allora in poi, l’ananas passava da formare il dolce dei pasti a essere il pasto stesso. 

Non ho mai raccontato la storia dell’ananas ai miei studenti italiani. Non credo che l’avrebbero capita. Descrivevamo invece la sua struttura, i suoi colori e odori, la sua forma – non la vedevano come una bomba, solamente come una palla con foglie. Alla fine della sessione di frutta, sempre mangiavamo la frutta che avevo portato. Lasciavo l’ananas alla fine di tutto. Ma non piaceva a tutti. Credo, infatti, che quello che volevo fosse trovare una specie di discepolo, qualcuno con cui potevo iniziare un viaggio ananasico come il mio, ma non osavo mettere in pratica l’idea.

A casa, il frigo sempre era pieno d’ananas. Lo compravo settimanalmente su Amazon perché i negozi locali non ne avevano mai abbastanza. Usavo le ricette di mio padre e ne avevo inventate alcune nuove. Mettevo ananas in tutto ciò che cucinavo!

Un sabato ho invitato a pranzo i genitori di alcuni dei miei studenti. Eravamo quasi diventati amici, ma non erano mai venuti a casa. Ho preparato un aperitivo tipico di Venezia – lo Spritz Aperol, poi un antipasto di gnocchi, senza ananas – perché lo stavo conservando per il piatto principale – una pizza grande per tutti. 

Arrivò il momento di estrarre la pizza dal forno. La misi sul tavolo dove i miei invitati stavano aspettando, bevendo vino e chiacchierando sui problemi dei loro bambini. Da subito l’espressione sui loro visi cambiò all’instante. Gianluca e Barbara si alzarono. “Come hai osato, John?” disse Barbara. “Andiamo via, Gianluca!”. E se ne andarono, senza dire né grazie per gli gnocchi né arrivederci. Andrea, il padre di Giulia, la mia studentessa preferita – che impazziva per l’ananas – anche si alzò e corse in bagno. Tutti sentivamo i suoi conati di vomito. Le altre tre persone si guardarono tra loro, e lentamente, uno a uno cominciarono a togliere i pezzi d’ananas dalla pizza. Non l’avevo ancora tagliata! 

“A nessuno piace l’ananas?” ho chiesto con la voce spaventata.

“Non si tratta di questo,” disse Mario, padre di Linda. “Sembra che tu non sappia che noi italiani non prepariamo mai la pizza con l’ananas. Nessuno te lo ha detto? Per noi è ripugnante così, schifoso. Ci dispiace, ma non la possiamo mangiare.  

Il più velocemente possibile, tolsi i resti della pizza dal tavolo.

“Farò alcuni hamburger, non vi preoccupate,” dissi dalla cucina. Ma tutti già si stavano alzando e muovendo verso la porta. L’unico che rimaneva a casa era Andrea. Non era uscito ancora dal bagno. Era morto? Mi sembrava molto strano che sua moglie non lo avesse aspettato.

Il lunedì mancavano tre studenti alla mia lezione, i figli delle tre coppie che avevo invitato il sabato prima. Il mercoledì, poco prima dell’inizio della mia sessione, il direttore della scuola mi convocò nel suo ufficio. Stava seduto dietro una enorme scrivania in legno. Il suo viso non sembrava proprio felice.  

“John,” cominciò con la voce grave, “prima di tutto devo dire che lei mi è sembrato un buon insegnante, ma nonostante questa verità, ci sono certe cose che non posso permettere. Questa scuola è anche un’azienda. Sa a che cosa mi riferisco?”

Sapevo quello che stava per succedere. E proprio quel giorno avevo portato precisamente due ananas in classe per la lezione sulla frutta.  Ancora stanno lì, sulla mia scrivania piccola. Due ananas. Il mio cibo preferito.

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